
La domanda può sembrare strana, ma non lo è affatto. Da sempre si sente parlare dei “propri allievi”, ma siamo sicuri che sia corretto dire così? Non sarà, forse, più giusto dire che noi siamo i loro maestri, o i loro insegnanti, piuttosto che considerarli “nostri” allievi?
Personalmente ho sempre usato questa espressione riferendomi a chi si allena con me. Che siano appena arrivati o con me da anni, li ho sempre chiamati i “miei allievi”. Poi, un giorno, ho iniziato a riflettere su questa formula così comune — non solo nel mondo delle arti marziali, ma in molti altri contesti — e mi sono reso conto che, forse, il senso è un po’ diverso da quello che pensiamo.
Da dove nasce l’idea di “avere” degli allievi
Forse non sono davvero “nostri” allievi. Sono persone che hanno scelto di allenarsi con noi, che hanno deciso di affidarci la loro crescita e il loro percorso. In realtà, dunque, noi siamo i loro insegnanti, non loro i nostri allievi.
Questa espressione — “i miei allievi” — potrebbe nascondere una forma di possessività che viene da tempi passati. Forse deriva da un’epoca in cui era il maestro a scegliere l’allievo, non il contrario.
Antiche storie raccontano, ad esempio, che chi voleva entrare nel Tempio Shaolin restava per giorni o settimane davanti al portone, finché non veniva accettato o respinto. Non era come oggi: non bastava iscriversi, pagare e cominciare ad allenarsi.
In quel contesto aveva senso parlare di “miei allievi”, perché era davvero il maestro a sceglierli. Oggi, invece, accade il contrario: sono gli allievi a scegliere il loro maestro.



Il rapporto moderno tra insegnante e allievo
Nel mondo attuale delle arti marziali, chi si avvicina a una disciplina fa delle prove, cerca di conoscere l’ambiente, i compagni, ma soprattutto chi insegna. Questo vale per gli adulti come per i bambini.
Anche quando la famiglia indirizza la scelta, è sempre l’allievo che, in fondo, decide con chi sentirsi in sintonia. È lui che sceglie. Per questo, oggi, possiamo dire che siamo noi a essere i loro insegnanti, non loro a essere “nostri”.
Ogni inizio stagione porta con sé nuovi arrivi, ma anche qualche addio. Alcuni allievi cambiano strada, ed è giusto così: fa parte del percorso naturale dell’insegnamento. All’inizio può essere difficile accettarlo, soprattutto quando si hanno pochi allievi e si teme di perderli. Ma col tempo si impara che ognuno ha la propria strada da seguire.
Dopo tanti anni di insegnamento — nel mio caso, più di trentuno — ho imparato che un allievo che decide di smettere non è “perso”: ha semplicemente fatto una scelta. Magari un giorno tornerà, magari no. Ma se viene a spiegartelo con sincerità, vuol dire che qualcosa di buono è rimasto, che il rapporto maestro-allievo è stato autentico.
Lui è libero.
Lui non è “nostro”.
Lui è un allievo.
E noi siamo i suoi maestri.
Buona pratica!